Violenza contro le donne: una giornata per dire “basta”

Fonte: Aleteia del 25 novembre 2013 – Centoventotto donne uccise nel 2013: quasi si stenta a crederlo ma è solo la punta dell’iceberg tragico della violenza contro le donne in Italia. Secondo il Rapporto Eures, tra il 2000 e il 2012 nel nostro Paese sono state assassinate 2.220 donne, una media di 171 omicidi l’anno, uno ogni due giorni. E il 70,7% dei delitti è avvenuto “nell’ambito familiare o affettivo”. Nei primi sei mesi di quest’anno le richieste di aiuto di donne vittime di stalking solo al numero attivato da Telefono Rosa sono aumentate di circa il 10 per cento. E’ contro questi numeri che si celebra il 25 novembre la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, segnata dal colore rosso delle scarpe femminili poste davanti al duomo di Firenze o che ha incendiato simbolicamente il Campidoglio a Roma.Sempre secondo il Rapporto Eures il responsabile della violenza è nel 48% dei casi il marito, nel 12% il convivente, nel 23% l’ex partner. Nel 61% dei casi ha un’età tra i 35 e i 54 anni e d è una persona istruita: il 46% ha la licenza media superiore e il 19% la laurea. Il persecutore in genere non fa uso di alcol e di droghe (63%). Tra i 35 e i 54 anni anche la donna-vittima che ha un titolo di studio pari alla licenza media superiore nel 53% dei casi e alla laurea nel 22%. Come leggere il fenomeno del femminicidio all’interno della nostra società? Aleteia ha rivolto la domanda allo psichiatra e psicoterapeuta Tonino Cantelmi.

L’inquietante fenomeno del femminicidio cosa ci dice del rapporto uomo-donna oggi?

Cantelmi: Occorre premettere che il femminicidio avviene normalmente nel contesto di legami patologici tra persone che hanno sviluppato una dipendenza affettiva reciproca. A ciò si aggiunge che sempre più nella nostra società si registra una incapacità di risolvere i conflitti in modo mediato e il sostanziale incremento di una aggressività di base diffusa. L’omicidio, nell’ambito di legami patologici come li abbiamo indicati, arriva al culmine di una lunga catena di eventi; è un omicidio, cioè, lungamente preannunciato, da parte di soggetti che perdono completamente la capacità di mediare i conflitti senza ricorrere alla violenza fisica. I dati ci dicono che i fatti tragici eclatanti non sono aumentati ma è aumentata la consapevolezza nei loro confronti

C’è quindi una generale difficoltà nel relazionarsi in modo positivo?

Cantelmi: La sostanziale difficoltà a gestire l’intimità riguarda oggi tutta la società. In questo contesto l’uomo sembra vivere una maggiore difficoltà nel gestire il rifiuto, l’abbandono, il tradimento. La gestione della frustrazione è, cioè, per il maschio più complessa che nel passato e la sua evoluzione in questo momento lo configura come fragile e in crisi. Si trovano a fare i conti con donne più assertive che reclamano più indipendenza e che sono in grado, per quanto in ritardo, di chiudere delle storie di dipendenza reciproca.

Perché delle donne, anche acculturate e indipendenti economicamente, restano a lungo in storie che procurano loro tanto dolore e tanto danno?
 

Cantelmi: Alcune donne tollerano fino al limite dell’intollerabile perché un altro fenomeno che contraddistingue la società di oggi è il diffondersi della dipendenza, dal gioco per esempio, ma anche la dipendenza affettiva e comportamentale. Tutto ciò non ha a che vedere con la cultura ma con l’incertezza identitaria che cerca conferme dall’esterno e la violenza, per quanto devastante, è molto confermante: è segno che l’uomo riconosce quella donna, la identifica come “sua”. Per questo è molto difficile portare aiuto in queste situazioni: quando arriva la consapevolezza di aver bisogno di aiuto, ormai la situazione è già andata molto avanti.

C’è un profilo educativo sul quale poter incidere?


Cantelmi: L’unica possibilità di agire è proprio nella prevenzione e nell’educazione. Occorre educare i bambini a tollerare la differenza valutandola, anzi, come pregio e ricchezza. E occorre insegnare già da piccoli la gestione del conflitto. C’è anche una questione di modelli maschili che oggi sono molto aggressivi e competitivi, soprattutto perché il ruolo educativo dei genitori e della scuola si è molto ridotto e i ragazzi si formano online, attraverso i social network e una civiltà dell’immagine. I loro punti di riferimento sono sempre più i sociale network e recenti ricerche hanno dimostrato come in questi imperi un machismo e una visione stereotipata dei ruoli maschili e femminili molto più estesa di quanto si creda.