L’uomo postmoderno tra autonomia e invischiamento tecnologico

Fonte: Vocazioni N.1 gennaio/febbraio 2021di Michela Pensavalli
Papa Francesco nella sua Enciclica Laudato si’ afferma: «Se l’essere umano si dichiara autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base della sua esistenza si sgretola, perché invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura» (117).

Il papa intende sottolineare in questo breve passaggio, il concetto di “antropocentrismo deviato”, inteso come quella visione del mondo in cui l’uomo, seppur posto al centro, sembra essere indifferente e noncurante di tutto ciò che lo circonda, delle altre creature, non riconosciute nel loro valore e nella loro perfezione, ma a lui sottomesse, strumentali al raggiungimento del soddisfacimento dei suoi interessi. Così, in un’assoluta prioritizzazione delle proprie esigenze, tutto il resto oltre se stesso, finisce per diventare superfluo, in un’evidente dinamica di “relativismo” che si mostra e traccia i significati e le relazioni del nostro tempo, come se il mondo ospitante, con tutto ciò che lo anima e lo abita, fosse per l’uomo postmoderno, un luogo da sfruttare quanto più possibile, da piegare a proprio beneficio e piacimento.

In tale cornice di autoreferenziale supremazia, come può riuscire l’uomo ad ascoltare il grido e il messaggio di aiuto inviato dalla natura? Quali segnali davvero sono accolti e sviluppati con sano senso di critica e desiderio di miglioramento?
Papa Francesco accenta altresì l’impegno e lo sforzo di volontà tesi verso gli ideali del rispetto e della responsabilità solidale: «Non si può esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di conoscenza, volontà, libertà e responsabilità» (LS 118).
La volontà di dominazione assoluta, di autonomia estrema e di indipendenza dagli altri oggi sono ancor più incarnate nell’illusione dell’uomo postmoderno, posto al centro di un cambiamento d’epoca, quello che ha come cornice di significato il concetto di tecno-liquidità, termine coniato dallo psichiatra Tonino Cantelmi, primo tra gli esperti in Italia a commentare gli effetti del massiccio uso delle tecnologie sulla mente umana e sui comportamenti inter-relazionali. Nell’epoca attuale della tecnoliquidità, afferma Cantelmi, in cui assistiamo all’abbraccio ineludibile tra il mondo virtuale, liquido, contraddistinto dalla labilità dei rapporti interpersonali – così come affermava Zygmunt Bauman – e la rivoluzione digitale annunciata da Steve Jobs, questo concetto della sostituzione dell’uomo a Dio è quanto più presente.

Se è vero che viviamo in una forma di connessione continua, incessante, fatta di scambi, comunicazioni e messaggi, permessa grazie alla tecnologia che ci fa sentire meno soli seppur distanti (si guardi ad esempio la sua utilità nell’ultimo periodo di lockdown vissuto a seguito dell’onda pandemica del Coronavirus), di frequentare corsi a distanza, di sperimentare nuove identità, di manifestare modalità di pensiero creativo e di esprimere emozioni, di leggere, studiare ed ascoltare musica, è altresì noto e mostrato da diversi studi, come sia possibile nasconderci, camuffarci nella relazione con l’altro, o mostrarci seguendo un tracciato di narcisistico perfezionismo che celebra aspetti positivi, in cerca di un’affermazione del proprio Sé finalizzata ad ottenere un quanto più alto indice di riconoscimento sociale.

“Sentiamo di esistere se siamo visti, apprezzati, riconosciuti”, afferma Greta, 16 anni, bel viso e lineamenti angelici: la sua bellezza è celebrata a colpi di selfie e di pose accattivanti sui social.
Lei, come tante altre sue coetanee, è ansiosa di instaurare relazioni ma, al tempo stesso, timorosa di farlo in modo stabile, definitivo; il successo per lei è sapere di piacere, percepire una visibilità consenziente che manifesti gradimento e conseguente accettazione. Per Greta, sentirsi padrona della propria vita, significa saper dominare la sua immagine e utilizzarla per affermare la sua popolarità, vuol dire esistere ed incidere sul consenso attraverso i social. La tendenza narcisistica è volersi mostrare impeccabili, tanto da fare invidia a chi è più “lento” (perché la tecnologia ci rende più veloci… nel digitare, connetterci, dare ed ottenere consensi) o incapace di trasformarsi e cerca spasmodicamente di imitare il modo altrui di essere camaleontici.
Modificando e “manipolando” eventi, foto, informazioni, sentimenti, esaltiamo la valorizzazione del nostro ego, ci erigiamo ad influenzatori potenti, nell’illusione di sentirci al centro dell’attenzione e di compiacerci di avere tanti “amici”, proseliti e likes.

Sullo sfondo il popolo degli immigrati tecnologici, lenti con le app e con le dita, spesso distratti o poco esperti, che appaiono impreparati e si subordinano ad un’evidente realtà di comunità auto-referenziata, tecno-basata sulla connessione e non più sulla relazione, all’interno della quale i giovani fanno da leone, e non si affidano più agli adulti, sostituiti da leader virtuali presenti sui canali YouTube, che propongono nuove mode e stili di vita accattivanti.

L’uomo che svetta sull’uomo. Dov’è Dio? Dov’è il contatto con l’essenza di sé reale ed autentica? Quanto tempo è sottratto all’impegno verso il mondo che ci ospita? Verso la natura?
In queste condotte esibizionistico/egocentriche ispirate dal culto del successo e della realizzazione individuale ad ogni costo, si cela, il senso di onnipotenza, vincolato tuttavia ad un Io debole, che vive in funzione dell’approvazione da parte degli altri. L’attenzione sembra essersi spostata prepotentemente dal cuore al guscio della vita umana e relazionale. Il rischio che si corre è quello di smettere di guardarsi dentro, di non accorgersi di ciò che accade fuori, di non dare importanza ai pensieri e sentimenti che fanno parte della vita di comunità reale, con evidente difficoltà ad entrare in profondità nelle relazioni interpersonali, tanto che gestire un conflitto o comprendere, accogliere e tollerare i bisogni dell’altro, genera timore e paura, talvolta insofferenza.
Si assottiglia sempre di più la capacità di cogliere l’altro, di essere empatici, mentre appare evidente il bisogno di accentramento su di noi.
Essere signori della propria vita coinciderebbe, nella visione cristiana, con la capacità di essere docili al progetto di Dio, lasciandosi guidare, accettando ciò che Lui ha voluto mettere in luce in noi, pregi ed anche difetti, senza mistificazioni e camuffamenti, amando l’altro per quello che è, senza considerarlo meramente come uno strumento utile alla propria compensazione affettiva o al proprio piacere, o per accrescere il proprio ego, la propria autostima.

La maturità relazionale, coincide col dare e col ricevere attenzioni, nella crescita armonica della giusta considerazione di sé, umile ed ambiziosa in senso sano, unita alla capacità di sacrificio per gli altri, ispirata alla costruzione di relazioni autentiche, soddisfacenti, forse imperfette, ma reali.
Per fare ciò è importante cercare di portare nel mondo digitale (a cui nessuno di noi vuole rinunciare) qualcosa del mondo analogico, favorendo l’incontro autentico, vis a vis, che permetta all’uomo di entrare in contatto con l’altro in modo onesto, leale, osservando lo sguardo, i gesti, i comportamenti. Soltanto così il non verbale riuscirà a supportare, convalidare ed esaltare il verbale (o virtuale che sia).
Papa Francesco sottolinea nell’Amoris Laetitia il concetto di tenerezza nell’incontro autentico, come qualcosa di caratterizzato da quella squisita attenzione verso i limiti dell’altro, verso i difetti.
È dunque fondamentale abbandonare lo schema perfezionistico e l’obiettivo di onnipotenza a cui tanto si aspira oggi e cercare di accettare e di accogliere il senso del limite, di ammettere la fallibilità che esiste in noi e in chi abbiamo di fronte.

La natura dell’uomo è sociale, nessuno può vivere e gioire per conto proprio, anche quando si hanno migliaia di followers e likes. La radice di amore profonda ispirata dallo sguardo paterno di Dio è quella che vede l’uomo impegnato nella solidarietà e nell’apertura alle relazioni, perché nessun risultato può essere festeggiato se manca un nucleo caldo d’amore che celebri l’impegno impiegato e festeggi l’obiettivo raggiunto con sguardo di amorevole fierezza.