Intervista alla psicologa Veronica Cantelmi. Disabili e confinamento sociale.

Fonte: sardinecreative.it del 20/04/2020 – Noi tutti stiamo patendo gli ormai oltre quaranta giorni di isolamento sociale che ci sono stati imposti dalla lotta al coronavirus. Ma c’è una particolare categoria di persone che tale isolamento lo soffre ancora di più, sono i giovani ed adulti disabili intellettivi. Abbiamo intervistato su questo tema e sulle loro necessità di questo particolare periodo storico, Veronica Cantelmi, psicologa clinica, psicoterapeuta, Responsabile Qualità presso Centro di Riabilitazione per la Disabilità Intellettiva Casa San Giuseppe (opera Don Guanella), psicologa e socio fondatore presso Comunità Terapeutica Sisifo per la cura delle Dipendenze Comportamentali.

1) Come vivono questa quarantena i giovani e gli adulti disabili, fisici o mentali?

Nella Disabilità Intellettiva (DI) lo stato emotivo è comune a quello di tutti noi, ed è quindi facilmente desumibile che gli eventi di questi giorni vengano vissuti con gli stessi sentimenti di tutti: la paura, la preoccupazione, la sottovalutazione o la sopravvalutazione dell’evento… tuttavia con meno difese, perché i disabili hanno una struttura cognitiva che non li aiuta a razionalizzare in maniera efficace, quindi il loro coping, la loro risposta a una situazione è un po’ più fragile, più disfunzionale di quella dei normo-dotati. Perciò i giovani e gli adulti disabili psichici vanno aiutati a sviluppare un coping più efficace e funzionale e vanno accompagnati in questo. Bisogna avere la pazienza di spiegare loro la situazione, di stargli vicino, di sostenerli nella paura e nell’angoscia.

2) Quali sono le loro principali necessità in questa situazione?

Come tutte le persone più vulnerabili, anche i diversamente abili hanno soprattutto bisogno di essere rassicurati. Hanno bisogno di accompagnatori che diano loro sicurezza, fiducia, vicinanza e soprattutto hanno bisogno di non essere isolati. E come tutti noi, hanno la necessità di sviluppare una nuova routine. La routine, a cui di solito attribuiamo un significato negativo, in quanto associata a vissuti di noia e ripetitività, è invece uno strumento fondamentale per le famiglie che ospitano persone con disabilità intellettiva.

Infatti la strutturazione delle giornate le rende prevedibili; la prevedibilità riduce la paura di cosa accadrà dopo e dunque l’ansia, l’angoscia e la paura del diversamente abile, funge da contenimento emotivo, fornisce dei confini, aiuta a combattere i vissuti depressivi e abulici definendo degli scopi precisi e un ritmo nelle giornate.

3) Negli U.s.a. molti disabili malati di covid-19 stanno morendo perché gli stati negano loro i ventilatori polmonari per la terapia intensiva. Cosa pensa di questa terribile notizia?

Che corrisponde a una visione efficientista del mondo, in cui la vita umana non è un valore assoluto, ma è legata alla capacità di produrre e di essere efficienti ed efficaci.
È una visione della vita, aggiungerei, molto cinica, che inoltre non contempla il fatto che tutti potremmo essere un giorno fragili e quindi che tutti noi potremmo essere esposti ad un giudizio di valore di questo tipo. E credo che nessuno di noi lo accetterebbe mai sulla sua pelle.

4) Molti disabili mentali necessitano di uscire di casa per mantenere il loro equilibrio mentale. Che consigli si sente di dare alle loro famiglie?

In alcune circostanze, come per esempio i disturbi dello spettro dell’autismo, la situazione è molto complessa, proprio perché si tratta di disturbi in cui lo spazio e il tempo sono vissuti in maniera diversa dagli altri, con esigenze diverse.
Bisogna rispettare assolutamente questi bisogni, e in effetti tutte le ordinanze tengono conto di questo. In conclusione, con tutte le precauzioni necessarie, per le persone con disabilità l’isolamento e il distanziamento sociale vanno rivisitati.

5) Quanto è importante la socialità per un disabile e lei cosa auspica in questo campo, per quando torneremo alla normalità?

La socialità è importante per tutti, sia nelle condizioni di disabilità cognitiva e psichica che nelle condizioni di così detta normalità. È vero che il Covid-19 potrebbe darci una spinta verso forme di individualismo e una sorta di diffidenza l’uno verso l’altro, ma il bisogno di socialità è così irriducibile che secondo me supereremo anche questo. Direi che invece, al contrario, questa esperienza ci insegna che abbiamo bisogno di buona socialità e, per quanto riguarda la disabilità intellettiva, di costruire sempre più luoghi di accoglienza che siano luoghi aperti, una sorta di “case di vetro”, dove le persone possano interagire sempre più efficacemente con la comunità.

Intervista a cura di Laura Gobbo

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