Adolescenti e dipendenza da smartphone, così può aiutarci il cyberpsicologo

Fonte: D.repubblica.it di Annalisa Piersigilli 9 gennaio 2017– «La loro lingua è il digitalese, e l’hanno imparata con la stessa naturalezza con cui hanno iniziato a parlare» spiega De Luca. «E lo smartphone è come se fosse un’estensione della loro memoria». Da qui ai problemi di comunicazione causati dal gap generazionale con i genitori, il passo è breve. Perché è difficile prendere consapevolezza da soli del fatto di trascorrere troppo tempo sui social o con il cellulare.

Nativi digitali, mobile born… è la tecnologia a definire le nuove generazioni. Per risolvere le problematiche insite nel rapporto tra adolescenti e mondo in Rete arriva in soccorso una nuova figura professionale, il cyberpsicologo. In Italia sono già due i corsi di laurea dedicati a questo risvolto moderno della psicologia. Ecco quali sono i problemi che, in veste di genitori, è utile sottoporre al suo giudizio

di Annalisa Piersigilli

La domanda che Michela De Luca, psicologa dell’età evolutiva, si sente fare più spesso è: «Mio figlio è sempre attaccato al pc. Che faccio, gli tolgo tutto?». E se non sono i genitori, la richiesta di aiuto arriva dai professori: «È sempre disattento, con gli occhi al cellulare. Come faccio a coinvolgerlo?». Michela è docente di cyberpsicologia all’Università Lumsa di Roma, un corso al passo coi tempi che fa parte della laurea in Scienze e tecniche psicologiche. Al momento è l’unico ateneo italiano ad aver attivato una cattedra dedicata a questo risvolto moderno della psicologia, ma il prossimo anno accademico anche l’Università Europea di Roma lo inserirà nel suo programma di studi. L’argomento è di quelli caldi, tanto che anche l’Oxford Dictionary Online ha introdotto tra le sue pagine l’espressione digital detox, che definisce “un lasso di tempo nel quale una persona si astiene dall’utilizzo di smartphone o computer per ridurre lo stress o focalizzarsi sull’interazione sociale nel mondo reale”. La figura di psicologo esperto in problemi digitali è sempre più richiesta nelle scuole, dalle famiglie o nei gruppi di catechismo.

nativi digitali, venuti alla luce in concomitanza con l’arrivo di Internet, e addirittura i mobile born(la generazione nata col cellulare in mano), hanno un approccio mentale diverso alla realtà, condizionato in maniera forte dai social network, dai videogiochi, e dal web in generale. «La loro lingua è il digitalese, e l’hanno imparata con la stessa naturalezza con cui hanno iniziato a parlare» spiega De Luca. «E lo smartphone è come se fosse un’estensione della loro memoria». Da qui ai problemi di comunicazione causati dal gap generazionale con i genitori, il passo è breve. Perché è difficile prendere consapevolezza da soli del fatto di trascorrere troppo tempo sui social o con il cellulare. «Il cyberpsicologo interviene per spiegare agli adulti come avvicinarsi ai giovani d’oggi e con quali strumenti. Io per esempio lascio sempre il mio contatto WhatsApp agli studenti: è lì che mi scrivono, si raccontano e si sfogano, molto più liberamente che durante una telefonata normale, perché lo schermo del cellulare è come se fosse una barriera di protezione, che permette di non sentirsi mai totalmente esposto» continua l’esperta.

Ma quali sono i casi più problematici in cui è richiesto l’intervento di un professionista del genere? «Le nuove tecnologie non vanno demonizzate a priori. Ci sono studi per esempio che dimostrano come i videogiochi abbiano anche dei risvolti positivi, perché stimolano la capacità di concentrazione e il confronto con gli altri. Ma i rischi di una iperconnessione sono reali e denotano una fragilità di fondo di chi viene coinvolto. A partire dallo shopping compulsivo o dal narcisismo digitale. E con quest’ultimo, mi riferisco all’utilizzo di Facebook con il solo scopo di apparire e dare un’immagine costruita di se stessi, fondata su quello che vedono gli altri. Da qui il proliferare dei selfie o l’importanza eccessiva data al numero di like che si ricevono» continua De Luca. Anche il cyberbullismo fa parte di questi rischi: non tutti i ragazzi hanno piena consapevolezza che il web e le nuove tecnologie non hanno confini spazio-temporali. E che un video pubblicato su Facebook o inviato agli amici via WhatsApp può potenzialmente fare il giro del mondo.
Tra i casi che affronta il cyberpsicologo c’è poi la reclusione tecnologica. «Non ho ancora trattato veri e propri casi di hikikomori, un fenomeno frequente in Giappone che si riferisce a giovani che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale, non uscendo mai di casa. Ma anche in Italia ci sono ragazzi che hanno difficoltà a relazionarsi, tanto che si rifugiano in una realtà virtuale, dei videogiochi per esempio, e vivono in una dimensione alternativa a quella reale».