Fonte: RomaSette.it 28 maggio 2012 – L’invito a riscoprire la bellezza di «guardarsi negli occhi» nel corso del convegno “Clikk@more”, promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile e dall’Itci di Cantelmi.
Amore e sentimenti sempre più superficiali, nell’era di Internet.. Ha lanciato l’allarme sabato scorso (26 maggio), nel palazzo del Vicariato, il convegno “Clikk@more” promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile e dall’Istituto di terapia cognitivo interpersonale (Itci), guidato da Tonino Cantelmi, psichiatra, il primo in Italia a occuparsi dell’impatto delle tecnologie digitali sulla mente e di “dipendenza da Internet”. Al tavolo dei relatori, insieme a don Maurizio Mirilli, direttore del Servizio diocesano per la pastorale giovanile, Maria Beatrice Toro e Michela Pensavalli, psicologhe e psicoterapeute, ricercatrici presso l’Itci, che hanno discusso intorno ad alcuni concetti divulgati da Cantelmi negli ultimi anni.
Idee e teorie introdotte dall’esperto in un video: «L’uomo
tra 10 anni sarà più depresso e dipenderà da nuovi paradisi, come la
tecnologia, il sesso, il gioco». Un grave rischio, in particolare,
deriva dal ricorso alle tecnologie per stringere relazioni umane ed è
rintracciabile nella «dissociazione fra le emozioni che rappresentiamo
nella rete e quelle che viviamo nella realtà». E questa è solo una delle
possibili conseguenze della tecno-mediazione dei rapporti, insieme alle
trasformazioni subite dal nostro cervello che «diventa sempre meno
empatico e meno simbolico». Per questo, ha precisato Cantelmi, «le
tecnologie sono un mondo che dobbiamo imparare ad abitare» per essere
ancora in grado «guardarci negli occhi».
A partire da questi temi e sulla scia del pensiero del sociologo polacco Zygmunt Bauman, Maria
Beatrice Toro, psicoterapeuta dell’infanzia, ha parlato di «famiglia
liquida», indagando nello specifico il legame genitore-figlio: «Oggi
sono in crisi sia i bambini, nei quali aumentano i disturbi mentali e
del comportamento, sia i genitori che hanno difficoltà a prendersi cura
dei figli». Tracciando quindi un profilo della famiglia post-moderna, la
ricercatrice ha evidenziato un capovolgimento dei ruoli dato che «non
sono più i figli ad avere bisogno dei genitori ma il padre e la madre ad
avere bisogno dei bambini per appagare il loro benessere emotivo». Così
crescono «figli che sentono sulle spalle le aspettative degli adulti» e
si delineano genitori «“adultescenti”, cioè che non maturano una volta
per tutte».
Presentando la sua esperienza di psicoterapia per adulti, Michela
Pensavalli, invece, ha spiegato che i giovani di oggi hanno grandi
«difficoltà a riconoscere e a descrivere le emozioni» a causa dei nuovi
media che li abituano a «un linguaggio povero e non consentono loro di
entrare fino in fondo in una relazione». E oggi che «le tecnologie sono
un’estensione di noi stessi», molti altri sono i cambiamenti di natura
antropologica da segnalare, secondo la studiosa, come «l’incapacità di
avere una storia duratura, la diffusione di nuovi costumi sessuali, la
tendenza ad avere relazioni ambigue o a non accettare i limiti di noi
stessi e delle persone che amiamo».
Ma quale amore conta oggi? È la domanda rilanciata da don Mirilli in
conclusione dei lavori. Un interrogativo che «esige un’unica risposta»
in un tempo in cui «è facile con un click dire “mi piace” o “non mi
piace” e si vive sull’onda delle sensazioni». L’amore autentico, ha
ribadito con forza il presbitero, è quello «oblativo, che si offre,
costruisce e progetta e sa fare delle rinunce». Un amore che va
testimoniato ai giovani. Dai genitori innanzitutto, «che devono fare
vivere ai figli l’esperienza di un amore grande».